I mercati vinicoli asiatici sono ricchi di sorprese, di sfumature e di potenzialità, e il Giappone è uno di questi. Quello nipponico è un mercato del vino dalle molteplici sfumature, pur essendo giovane: i giapponesi, infatti, sono avvezzi al consumo di vino solo da 30 anni. Il trend del vino è ancora una realtà sconosciuta per molte persone. Nella cultura giapponese fino a qualche decennio fa, ma in alcuni casi ancora oggi, il vino era considerato un alcolico da ricchi e quindi berlo attribuiva uno status symbol al consumatore.
Ciò che colpisce però della lontana mentalità dei consumatori giapponesi è un dato: ciò che più importa a chi consuma abitualmente il vino, non è il contenuto della bottiglia, anzi a volte diventa addirittura superfluo, ma la storia che è dietro al prodotto, la sua etichetta e la sua presentazione.
Il mercato del vino nipponico non è ancora stato esplorato al 100% e ha ancora tanto da offrire, soprattutto al Made in Italy che rispetto ad altri Paesi importatori non ha ancora giocato tutte le sue carte. Sebbene i rapporti commerciali del settore vinicolo non siano ancora maturi in Giappone, un posto di tutto rispetto lo occupa la Francia, che è stata la prima “potenza” del vino ad avere successo nel Paese del Sol Levante. Nonostante il primato ancora dei cugini d’Oltralpe, oggi sono presenti in Giappone diverse tipologie di vino, provenienti da tutte la parti del mondo, e per tutte le tasche. «Anni fa il vino era una bevanda alcolica che non tutti potevano permettersi perché costosa, oggi, invece, si possono comprare vini al supermercato che costano anche 2 o 3 Euro, ma spesso sono di scarsissima qualità» ha affermato Francesco Galardi, italiano che lavora nell’import di prodotti italiani in Giappone.
In media un giapponese beve solo 2 litri di vino all’anno. È un dato che conferma la poca conoscenza del prodotto vino in questo Paese. Per incrementarne la diffusione e le vendite, non basta proporre un prodotto di alta qualità. «Ad un produttore che si affaccia per la prima volta su questo mercato, consiglio prima di tutto di curare a fondo l’immagine dei propri prodotti, e di creare etichette che abbiano una storia dietro – ha continuato Galardi -. In Giappone quello che importa, oltre al contenuto, è il marketing che ruota attorno a una bottiglia di vino: la sua storia, l’etichetta e il packaging sono più importanti del vino stesso». Esempio lampante sono i supermercati giapponesi: «Passando vicino allo scaffale dei vini, sembra di essere davanti ad una dispensa piena di giocattoli: etichette dorate luminose, fiocchetti, gadget attaccati, e tanti altri elementi decorativi che servono ad attirare l’attenzione del consumatore. Caratteristiche che noi italiani riterremmo bizzarre, e che, di sicuro, non troviamo nei nostri supermercati» ha esclamato Galardi.
Non resta che scoprire il profilo del tipico consumatore di vino giapponese. Così Galardi ha continuato: «Esistono diversi profili: c’è il consumatore di alto livello sociale, che beve vino solo per attribuirsi uno status; poi c’è il consumatore medio, quello che conosce poco il vino, per cui ne beve poco, qualche volta al ristorante, contenendosi sul budget da dedicarvi, oppure ne compra una bottiglia ogni tanto al supermercato. E non dimentichiamo gli amanti del vino che possono essere più o meno esperti in materia. Infine ci sono i “maniaci”, che in alcuni casi possono addirittura “spaventare” per il loro livello di conoscenza dei prodotti». Ma ciò che più sorprende è l’alto tasso di consumatrici di vino: «Le donne, perlopiù, non lavorano e rimangono a casa. Spendono elevate cifre per una bottiglia, di cui spesso non conoscono né la storia né la provenienza, ma a loro piace il vino che costa tanto, per cui lo comprano in quanto tale, senza conoscerlo a fondo».
Per quanto riguarda il rapporto tra il vino e la cucina, l’abbinamento tra cucina giapponese e vino italiano, se ben studiato, dà risultati incredibili. «Abbinare cibo e alcolici fa parte della cultura nipponica, per cui ogni chef è molto attento a quello che prepara e a quello che il cliente decide di
abbinarci – ha proseguito Galardi -. Può sembrare un abbinamento strano, ma il connubio tra un Gewurtztraminer o un bianco del Friuli con il sushi vi stupirebbe. Nonostante ci sia la tendenza a trasformare i sapori della nostra terra in qualcosa di simile a quelli giapponesi molto meno intensi, la cucina italiana in Giappone ha un livello molto elevato e molti chef, insieme ai sommelier, riescono a proporre abbinamenti tra cibo e vino veramente interessanti».
Il Paese del Sol Levante ha tutte le carte in regola per essere un mercato vinicolo di grande valore per l’export italiano, basta essere creativi per essere apprezzati. Le aziende italiane sono pronte?
Ciò che colpisce però della lontana mentalità dei consumatori giapponesi è un dato: ciò che più importa a chi consuma abitualmente il vino, non è il contenuto della bottiglia, anzi a volte diventa addirittura superfluo, ma la storia che è dietro al prodotto, la sua etichetta e la sua presentazione.
Il mercato del vino nipponico non è ancora stato esplorato al 100% e ha ancora tanto da offrire, soprattutto al Made in Italy che rispetto ad altri Paesi importatori non ha ancora giocato tutte le sue carte. Sebbene i rapporti commerciali del settore vinicolo non siano ancora maturi in Giappone, un posto di tutto rispetto lo occupa la Francia, che è stata la prima “potenza” del vino ad avere successo nel Paese del Sol Levante. Nonostante il primato ancora dei cugini d’Oltralpe, oggi sono presenti in Giappone diverse tipologie di vino, provenienti da tutte la parti del mondo, e per tutte le tasche. «Anni fa il vino era una bevanda alcolica che non tutti potevano permettersi perché costosa, oggi, invece, si possono comprare vini al supermercato che costano anche 2 o 3 Euro, ma spesso sono di scarsissima qualità» ha affermato Francesco Galardi, italiano che lavora nell’import di prodotti italiani in Giappone.
In media un giapponese beve solo 2 litri di vino all’anno. È un dato che conferma la poca conoscenza del prodotto vino in questo Paese. Per incrementarne la diffusione e le vendite, non basta proporre un prodotto di alta qualità. «Ad un produttore che si affaccia per la prima volta su questo mercato, consiglio prima di tutto di curare a fondo l’immagine dei propri prodotti, e di creare etichette che abbiano una storia dietro – ha continuato Galardi -. In Giappone quello che importa, oltre al contenuto, è il marketing che ruota attorno a una bottiglia di vino: la sua storia, l’etichetta e il packaging sono più importanti del vino stesso». Esempio lampante sono i supermercati giapponesi: «Passando vicino allo scaffale dei vini, sembra di essere davanti ad una dispensa piena di giocattoli: etichette dorate luminose, fiocchetti, gadget attaccati, e tanti altri elementi decorativi che servono ad attirare l’attenzione del consumatore. Caratteristiche che noi italiani riterremmo bizzarre, e che, di sicuro, non troviamo nei nostri supermercati» ha esclamato Galardi.
Non resta che scoprire il profilo del tipico consumatore di vino giapponese. Così Galardi ha continuato: «Esistono diversi profili: c’è il consumatore di alto livello sociale, che beve vino solo per attribuirsi uno status; poi c’è il consumatore medio, quello che conosce poco il vino, per cui ne beve poco, qualche volta al ristorante, contenendosi sul budget da dedicarvi, oppure ne compra una bottiglia ogni tanto al supermercato. E non dimentichiamo gli amanti del vino che possono essere più o meno esperti in materia. Infine ci sono i “maniaci”, che in alcuni casi possono addirittura “spaventare” per il loro livello di conoscenza dei prodotti». Ma ciò che più sorprende è l’alto tasso di consumatrici di vino: «Le donne, perlopiù, non lavorano e rimangono a casa. Spendono elevate cifre per una bottiglia, di cui spesso non conoscono né la storia né la provenienza, ma a loro piace il vino che costa tanto, per cui lo comprano in quanto tale, senza conoscerlo a fondo».
Per quanto riguarda il rapporto tra il vino e la cucina, l’abbinamento tra cucina giapponese e vino italiano, se ben studiato, dà risultati incredibili. «Abbinare cibo e alcolici fa parte della cultura nipponica, per cui ogni chef è molto attento a quello che prepara e a quello che il cliente decide di
abbinarci – ha proseguito Galardi -. Può sembrare un abbinamento strano, ma il connubio tra un Gewurtztraminer o un bianco del Friuli con il sushi vi stupirebbe. Nonostante ci sia la tendenza a trasformare i sapori della nostra terra in qualcosa di simile a quelli giapponesi molto meno intensi, la cucina italiana in Giappone ha un livello molto elevato e molti chef, insieme ai sommelier, riescono a proporre abbinamenti tra cibo e vino veramente interessanti».
Il Paese del Sol Levante ha tutte le carte in regola per essere un mercato vinicolo di grande valore per l’export italiano, basta essere creativi per essere apprezzati. Le aziende italiane sono pronte?
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Foto: www.viewpoint.